Giurisprudenza

Datore di lavoro inconsapevole della prassi scorretta del lavoratore che elude le norme antinfortunistiche: assoluzione

Pubblicato da Andreas Tscholl

Con la pronuncia n 36778/2020, la Sezione IV Penale della Suprema Corte (relatore Giuseppe Pavich) si è soffermata nuovamente sui presupposti giuridici e fattuali, affinché possa essere affermata la responsabilità penale del Datore di Lavoro, per culpa in vigilando, in relazione ad eventi lesivi causati da prassi lavorative incaute o scorrette poste in essere, appunto, dal lavoratore stesso. 

Nel caso di specie l'evento lesivo si è concretizzato a seguito di un guasto accidentale di una macchina in lavorazione, modificata abusivamente dal lavoratore stesso con un meccanismo "camuffato", al fine di eludere i relativi dispositivi di sicurezza (fotocellule correttamente installate e mantenute dal datore di lavoro) e ciò unicamente per "risparmiare fatica al lavoratore".

L'accusa aveva così contestato al Datore di Lavoro di avere omesso il controllo del macchinario ed in particolare dell'utilizzo effettivo del dispositivo di sicurezza.

Nel confermare i precedenti arresti della Cassazione in materia, l'autorevole estensore della motivazione (dott. G. Pavich) richiama il principio di diritto per cui "non può essere ascritta al Datore di Lavoro la responsabilità di un evento lesivo o letale per culpa in vigilando qualora non venga raggiunta la certezza della conoscenza o della conoscibilità, da parte sua, di prassi incaute, neppure in via inferenziale (ossia sulla base di una finalizzazione di tali prassi a una maggiore produttività)" ribadendo che "in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell'esigibilità  del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, della sua colpevole ignoranza, di tale prassi."  

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE - SEZIONE QUARTA PENALE

SENTENZA N. 36778/20.pdf

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente

Dott. PAVICH Giuseppe - rel. Consigliere

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del (OMISSIS) e' fondato sotto piu' profili.

In primo luogo, e con specifico riferimento al primo motivo di ricorso, deve ravvisarsi un'evidente discrasia fra l'oggetto specifico dell'imputazione - che poneva a carico di tutti gli imputati, ed anche dei (OMISSIS), l'addebito di avere disposto la realizzazione del cancelletto abusivo - e la condotta criminosa ravvisata dalla Corte d'appello come colpevole da parte dell'odierno ricorrente, qualificabile come culpa in vigilando, per non avere il (OMISSIS) esercitato il dovuto controllo su quanto accadeva all'interno dello stabilimento e, dunque, anche sulla realizzazione del varco da cui sarebbe transitato il (OMISSIS).

Non si tratta unicamente di una condanna per colpa omissiva a fronte di un'imputazione per colpa commissiva, ma di una modalita' affatto diversa e del tutto incompatibile con l'originaria qualificazione dell'oggetto dell'imputazione, per di piu' in seguito a una pronunzia di assoluzione in primo grado dall'addebito originario. In altre parole, a carico del (OMISSIS) si e' ravvisato un fatto radicalmente diverso rispetto a quello contestato.

In giurisprudenza si e', invero, affermato - sia pure in una situazione in parte diversa rispetto a quella in esame - che, una volta contestata la condotta colposa e ritenuta dal giudice di primo grado la sussistenza di un comportamento commissivo, la qualificazione in appello della condotta medesima anche come colposamente omissiva non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza; ma cio' a condizione che l'imputato abbia avuto la concreta possibilita' di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (Sez. 4, n. 27389 del 08/03/2018, Siani, Rv. 273588). Nel caso di specie, il (OMISSIS) era chiamato a rispondere dell'evento non voluto per una condotta volontaria e, comunque, consapevole (quella di aver disposto che venisse realizzato il cancelletto) e, dopo un procedimento di primo grado in cui egli era stato assolto da tale addebito, e' stato condannato in appello per una condotta omissiva ispirata a negligenza, ossia quella di non avere adempiuto al suo dovere di vigilanza. E' evidente l'eterogeneita' dei due addebiti, con conseguente compromissione del diritto di difesa.

Tanto emerge soprattutto in relazione al thema probandum esplorato dalla Corte di merito - e, per vero, anche dal Tribunale in primo grado - ossia quello del funzionamento o del malfunzionamento dell'accesso collegato alle fotocellule (essendosi ritenuto in primo grado che tale punto non fosse stato chiarito, e in appello che il buon funzionamento del dispositivo di sicurezza ad esso collegato fosse la prova logica che il (OMISSIS) era entrato nell'area pericolosa dal varco vietato); non emerge in alcuno dei passaggi argomentativi della sentenza di condanna che l'istruttoria abbia riguardato la consapevolezza, da parte del (OMISSIS), della presenza del cancelletto abusivo.

Venendo a quest'ultimo profilo (trattato anch'esso nel primo motivo di lagnanza), e' di tutta evidenza che l'accertamento della conoscenza, da parte del (OMISSIS), dell'avvenuta realizzazione del varco incriminato non e' stato effettuato nel corso dell'istruzione dibattimentale e di quella suppletiva effettuata in appello a seguito di rinnovazione parziale dell'istruttoria.

La questione e' liquidata dalla Corte felsinea con poche battute, laddove si afferma - senza il benche' minimo riferimento al materiale probatorio raccolto - che non solo era pacifica la realizzazione "da diverso tempo" del varco incriminato, ma anche "che la presenza di tale apertura era ampiamente nota all'interno della fabbrica". Null'altro si dice a proposito di tale cruciale aspetto, che - se sviluppato - avrebbe permesso al (OMISSIS) di difendersi anche da tale (diverso) addebito, ossia quello di essere a conoscenza del cancelletto realizzato abusivamente; ne' si fa alcun riferimento alle fonti di prova in base alle quali tale diffusa conoscenza (peraltro non riferita specificamente all'odierno ricorrente) sarebbe stata accertata processualmente. Nulla risulta accertato in ordine a chi avrebbe disposto o eseguito il varco. Nulla risulta accertato, inoltre, a proposito del fatto che vi fosse una prassi illegittima all'interno dello stabilimento, costituita dall'utilizzo piu' o meno ricorrente di tale accesso per entrare nell'area pericolosa ove il (OMISSIS) rimase ucciso. Risulta invece accertato che il cancelletto era realizzato con la stessa colorazione della recinzione di protezione (sebbene la Corte di merito sostenga, senza fornire elementi specifici, che esso fosse "comunque visibile", salvo poi definire "irrilevante" tale aspetto ai fini della responsabilita' del (OMISSIS) in quanto datore di lavoro e, come tale, portatore di un debito di sicurezza di ordine generale nei confronti dei dipendenti).

E', allora, del tutto pertinente il richiamo del ricorrente all'arresto giurisprudenziale in base al quale non puo' essere ascritta al datore di lavoro la responsabilita' di un evento lesivo o letale per culpa in vigilando qualora non venga raggiunta la certezza della conoscenza o della conoscibilita', da parte sua, di prassi incaute, neppure sul piano inferenziale (ossia sulla base di una finalizzazione di tali prassi a una maggiore produttivita'), dalle quali sia scaturito l'evento (Sez. 4, n. 20833 del 15/05/2019, Stango, n. m.). Del resto in termini affatto analoghi si e' espressa la giurisprudenza di legittimita' in altro, recente arresto, in base al quale, in tema di infortuni sul lavoro, in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non e' ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell'esigibilita' del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi (Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019.PDF).

Nel caso di specie, si ripete, neppure e' stata argomentata nella sentenza impugnata la prova dell'esistenza di una prassi in tal senso; ma, quand'anche tale prova fosse emersa in giudizio, sarebbe stato comunque necessario accertare ulteriormente - quanto meno in via logica, e non certo sulla sola base dell'astratta posizione di garanzia - che il datore di lavoro fosse, o dovesse necessariamente essere, a conoscenza della prassi incauta.

Invero, anche sul piano dell'utilita' del cancelletto abusivo in chiave di maggiore produttivita' (tema, questo, affrontato nel quarto motivo di ricorso), la motivazione della sentenza impugnata si presenta del tutto carente, limitandosi alla deduzione - pervero affatto assertiva e sprovvista di uno specifico sostegno logico e probatorio - che il cancelletto serviva a impedire l'interruzione del ciclo produttivo. A parte quanto si dira' fra un attimo a proposito della mancata audizione del consulente della difesa ing. (OMISSIS) da parte della Corte di merito nel corso del giudizio d'appello, deve constatarsi che non solo costui, ma anche il perito d'ufficio (OMISSIS) aveva escluso esplicitamente che lo scopo del cancelletto sarebbe stato quello di mantenere la continuita' del ciclo produttivo ed aveva affermato che esso serviva a far "risparmiare fatica ai lavoratori".

Infine, e' fondato anche il terzo motivo di lagnanza. In luogo dell'audizione del perito (OMISSIS), deceduto nelle more del giudizio, la Corte di merito aveva disposto l'audizione del perito (OMISSIS) (peraltro unicamente sugli esiti dell'esperimento giudiziale relativo al funzionamento del varco collegato alle fotocellule, e non anche sugli ulteriori temi di prova richiesti dalla difesa); la deposizione del perito, diversamente da quanto pure la Corte di merito aveva anticipato, non e' stata pero' seguita da quella del consulente della difesa ing. (OMISSIS), in quanto "inammissibile" secondo la Corte di merito, pervenuta poi al convincimento di penale responsabilita' del (OMISSIS). Piu' in generale, poi, la parziale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale che ha preceduto il ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado non ha avuto in alcun modo ad oggetto il tema della conoscenza o della conoscibilita', da parte del (OMISSIS), della realizzazione del cancelletto, non essendo state riesaminate fonti di prova orale decisive a tal fine.

In proposito va ricordato che sussiste l'obbligo, per il giudice d'appello che intenda pervenire a reformatio in peius, di rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487); merita pure di essere richiamato il principio in base al quale, in tema di rinnovazione dell'istruttoria, il giudice di appello che fondi sulle dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico, nel corso del dibattimento di primo grado, la riforma della sentenza di assoluzione, ha l'obbligo di procedere alla loro rinnovazione, anche nel caso in cui in secondo grado sia stata disposta nuova perizia, rendendo quest'ultima ancora piu' pregnante l'esigenza di procedere al confronto dialettico tra le tesi sostenute dai periti (Sez. 4, n. 31865 del 10/04/2019, Provincia di Massa Carrara, Rv. 276795); nel caso di specie, non essendo stata possibile una nuova audizione del perito (OMISSIS) ma essendosi disposta nuova audizione del perito sentito in sede di incidente probatorio (che era pervenuto a conclusioni diverse, oltretutto su un tema estremamente ristretto e specifico), proprio la necessita' di un maggiore confronto dialettico tra tesi opposte, in una prospettiva di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado, avrebbe imposto di procedere a nuovo esame del consulente tecnico della difesa.

2. Le ragioni suesposte risultano assorbenti, sul piano logico, anche dei motivi posti a base del ricorso della (OMISSIS) s.r.l., la cui posizione ai fini dell'attribuzione di responsabilita' quanto al contestato illecito amministrativo risulta strettamente dipendente dall'accertamento dell'illecito penale e della sua attribuzione al soggetto apicale (il (OMISSIS)).

3. In base alle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.

22 mar 2021
Logo Studio Legale A. Valenti & PArtners
DE
IT